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Comete
Bimestrale on line
Reg. Tribunale di Vicenza n. 1165 del 18 dicembre 2007
Editor e direttore responsabile Bianca Nardon
Redazione STEP Srl Contrà Porti, 3 Vicenza


Anno III n. 6 Giugno 2009

Incontro con Marco Martuzzi

Epidemiologo OMS Organizzazione Mondiale della Sanità
"Health impact of PM10 and ozone in 13 Italian cities" - World Health Organization, Regional Office for Europe, 2006
www.euro.who.int/document/e88700.pdf


Da un rapporto OMS del 2006 sugli effetti di PM10 e ozono in tredici città italiane, "Risulta che tra il 2002 e il 2004, una media di 8220 morti l'anno sono dovute agli effetti a lungo termine delle concentrazioni di PM10 superiori ai 20 µg/m3, il che equivale al 9% della mortalità negli over 30 per tutte le cause escluse quelle accidentali (traumatismi e avvelenamenti)". Come è possibile far risalire questi decessi a specifici effetti sanitari (infarto, cancro ai polmoni ecc.) provocati dall'inquinamento dell'aria?
Pur essendoci molte domande aperte su cui continua il lavoro di ricerca, in campo ambientale il tema dell'inquinamento dell'aria e del PM in particolare è uno dei più consolidati. Abbiamo delle evidenze numericamente molto solide e accurate sugli effetti sanitari del PM e siamo abbastanza sicuri del nesso di causalità. Sappiamo che in concomitanza con l'aumentare delle concentrazioni di PM, in particolare in ambiente urbano, ci sono risposte di diversi indicatori sanitari, dalla mortalità, alla morbosità ai ricoveri ospedalieri e con l'andare del tempo gli studi sono sempre più precisi. Siamo in grado di affermare che all'aumentare di una certa concentrazione di PM la mortalità aumenta di una determinata percentuale. Dal punto di vista metodologico per gli effetti a breve termine, entro pochi giorni dal rilevamento di un picco di PM si rileva che c'è, ad esempio, un picco di mortalità e si registrano una serie di altri effetti sulla salute. Per gli effetti a lungo termine, confrontando città diverse con valori medi diversi e tenendo conto di tutti gli altri fattori conosciuti, quali stato socioeconomico o abitudine al fumo, si stabilisce il rischio legato alla concentrazione di inquinanti atmosferici. Riusciamo quindi a stabilire che se, ad esempio, nelle nostre città, invece di avere un valore medio annuale di 50 microgrammi avessimo un valore pari a 20 microgrammi, questo comporterebbe un rischio sanitario inferiore di una certa percentuale, traducibile nella corrispondente riduzione di decessi e altri effetti dannosi sulla salute.

8220 morti, corrispondenti al 9% dei decessi negli over 30, è un valore molto alto. Questa stima del 2006 è tuttora confermata?
Si tratta di un dato consistente e che fino a qualche anno fa veniva guardato con molta cautela. Invece con il passare degli anni questa stima si conferma ed è leggermente al rialzo. Quest'informazione proviene da uno studio americano recente. Il grosso delle valutazioni sugli effetti a lungo termine delle PM, che sono i più preoccupanti, provengono infatti da studi statunitensi, basati su gruppi di popolazione osservati nel corso di più anni. Essenzialmente le stime di impatto per il 2002-2004 (pubblicate nel rapporto del 2006) sull'Italia rimangono ancora valide, mentre quelle di uno studio condotto nel 2002, basato sull'analisi delle concentrazioni in otto città del nostro paese, erano sottostimate.

Sempre dal rapporto OMS del 2006 emerge che "Le recenti conoscenze disponibili sugli effetti sanitari del PM10 consentono di scomporre l'impatto della mortalità per gli effetti cronici oltre i 20 µg/m3 in cancro al polmone (742 casi/anno), infarto (2562), ictus (329). Anche per le malattie i numeri sono elevati ed includono bronchiti, asma, sintomi respiratori in bambini e adulti, ricoveri ospedalieri per malattie cardiache e respiratorie che determinano perdita di giorni di lavoro". Se l'influenza dell'inquinamento atmosferico sul sistema respiratorio è facilmente intuibile, un'incidenza così forte sulle malattie cardiovascolari crea più stupore. Come si spiega?
L'influenza sulla sfera cardiovascolare, dovuta a diversi meccanismi fisiologici oggetto di numerosi studi, è ormai una certezza. Le polveri sottili penetrano nel sistema circolatorio con facilità. All'aumentare delle concentrazioni di inquinanti atmosferici in proporzione si osservano più casi di decesso o di malattia per problemi cardiovascolari.

Nel testo si afferma che il PM aumenta il rischio di malattie respiratorie nei bambini, influisce sullo sviluppo delle funzioni polmonari, aggrava l'asma e causa altri sintomi respiratori come la tosse e la bronchite infantile. Quanto incide l'inquinamento dell'aria sulla salute dei nostri figli?
Le relazioni tra inquinamento dell'aria e salute dei bambini si basano su alcuni indicatori specifici. Ad es. uno dei dati più importanti è il peggioramento delle condizioni degli asmatici. Non c'è infatti evidenza di nuovi casi di asma, ma di un aggravamento dei sintomi di chi è già malato, sono cioè rilevanti le interazioni con condizioni già esistenti. Per quel che riguarda il peggioramento della funzione respiratoria in concomitanza con l'aumentare dell'inquinamento, non si è scelto di includere un'analisi specifica in questa ricerca, ma esistono dati di riferimento consolidati per poter condurre oggi delle indagini.

Nel rapporto si citano anche ipotesi di effetti sulla capacità riproduttiva umana, sull'aborto spontaneo, sul parto prematuro, sulle riduzioni dimensionali del feto, e addirittura su modificazioni genetiche dell'embrione. Quanto sappiamo su questo oggi?
Per quanto riguarda l'influenza sui processi di formazione embrionale e del feto, anche a livello internazionale esistono solo delle ipotesi e delle indicazioni in letteratura, ma non confermate come per altri indicatori. Ciò di cui siamo certi è che l'inquinamento dell'aria è un fattore di rischio importante conclamato, con conseguenze sostanziali e preoccupanti sulla salute. Nei paesi industrializzati è uno dei rischi da fattori ambientali più alti, ma non per questo l'unico rilevante. Non conosciamo inoltre abbastanza come interagiscono diverse forme di inquinamento ambientale e c'è un sospetto effetto teratogeno che riguarda alcuni agenti ambientali chimici.

Nelle città del Nord Italia e in particolare della Pianura Padana le concentrazioni di PM10 pari a 59µg/m3 sono tre volte il limite fissato dall'Europa (20µg/m3) per il 2010 al tempo del rapporto OMS (2006). Quanto incide questo divario rispetto ai limiti originariamente imposti?
La legislazione europea è cambiata rispetto ai tempi di stesura di questo rapporto. I limiti sono stati modificati e alcuni standard sono stati innalzati. Inoltre sono legati ad alcuni fattori temporali sia riguardanti la posticipazione del tempo di entrata in vigore sia il numero di giorni susseguenti di concentrazioni accettabili di PM e altre condizioni. Il caso è stato molto dibattuto. La comunità scientifica ha protestato sul rilassamento di questi limiti, viste le crescenti evidenze, tra l'altro prodotte in gran parte da studi commissionati dalla stessa Commissione Europea. In sede di dibattito comunitario è emersa la molteplicità di interessi coinvolti, il cui peso è andato al di là, purtroppo, delle evidenze scientifiche.

La situazione italiana è peggiore rispetto al resto d'Europa?
Le città italiane sono nella fascia peggiore della "classifica", ma sono in compagnia di altre città europee. La Pianura Padana e una zona dei Paesi Bassi sono tra le aree dove si osservano le più alte concentrazioni di polveri, dovute alle alte emissioni inquinanti e a condizioni meteorologiche sfavorevoli. Sappiamo tuttavia che alcune città nel resto d'Europa hanno ottenuto una forte riduzione della presenza di polveri sottili, in seguito a politiche di intervento sul trasporto e su altri settori.

Che differenza esiste tra città del Nord e del Sud Italia?
Le stime sugli impatti di salute, cioè il numero di decessi e di casi di patologie dovuti all'inquinamento, sono proporzionali alla numerosità della popolazione e alle concentrazioni di PM. A parità di popolazione, se la concentrazione è doppia l'impatto di mortalità è doppio. Un altro dato consolidato è che non c'è un effetto di soglia. Anche all'interno dei limiti di legge, per quanto restrittivi, ogni microgrammo per metro cubo in meno è un guadagno per la salute.

La differenza tra le concentrazioni di PM10 di Trieste e di Verona (la seconda ne ha più del doppio, si va da 26.3 a 61.1), a quanti e quali fattori è dovuta? Parrebbe esserci un effetto di diminuzione delle polveri nelle città sul mare (oltre a Trieste anche Palermo ha valori di PM più bassi della media).
La meteorologia ha un ruolo importante. E' possibile che la vicinanza del mare e la presenza di venti possa influire sulle concentrazioni di PM. Per quel che riguarda i confronti tra le diverse città abbiamo però deciso di omettere questo tema nel corso dello studio del 2006. Ai tempi del precedente rapporto questo approccio aveva innescato un dibattito piuttosto sterile sulla classifica della città migliore o peggiore, facendo perdere di vista l'obiettivo principale, cioè arrivare ad adottare delle politiche complessive e su larga scala che producano un abbassamento delle concentrazioni di PM.

Il grado di dannosità del PM2.5 pare molto rilevante, per la persistenza delle particelle nell'atmosfera e per la loro facilità di spostamento da zona a zona. Come si garantisce un'attribuzione attendibile delle concentrazioni ai luoghi di indagine?
La concentrazione di PM2.5 è un indicatore più puntuale per la valutazione degli effetti dell'inquinamento atmosferico sulla salute. Non essendo ancora del tutto diffuse le stazioni di rilevamento specifiche nel nostro paese, le stime sul PM2.5 utilizzate nei nostri studi derivano da delle approssimazioni. In particolare, la conversione da PM10 a PM2.5 perde sicuramente in accuratezza, ma non è così fondamentale. Indubbiamente le particelle viaggiano molto e anche su lunghe distanze. Però è anche vero che utilizziamo il PM come indicatore complessivo di qualità dell'aria e sappiamo che il PM2.5 è fortemente correlato alle emissioni locali.

Alcuni studi internazionali (EPA Review and ACS American Cancer Society) sottolineano un forte legame tra esposizione a lungo termine a concentrazioni di PM 2.5 e un notevole aumento del rischio di mortalità. Si parla di percentuali di incremento del rischio di morte pari al 6-19% per problemi cardiopolmonari, al 13% per il cancro al polmone e all' 8-18% per problemi cardiovascolari, in relazione ad un incremento di 10µg/m3 in PM 2.5. Come produciamo quei 10µg?
In quasi tutti gli studi sulle fonti dell'inquinamento atmosferico, risulta che in ambiente urbano il traffico contribuisce per il 50-60%. Il trasporto rimane quindi il principale candidato per eventuali politiche di cambiamento.

A tre anni di distanza dalla loro pubblicazione, questi dati non hanno suscitato particolari reazioni o importanti cambiamenti nelle politiche adottate. Chi devono essere i principali recettori di queste analisi? I medici, secondo lei, non hanno una potenzialità, in quanto mediatori dell'informazione e della fiducia dei cittadini, che supera il loro attuale grado di intervento?
Ci interroghiamo spesso su come rendere i nostri messaggi politicamente più pesanti. I medici hanno senz'altro un ruolo importante, e alcuni di essi sono assai impegnati in tal senso. C'è ad esempio una ONG che si chiama "Medici per l'ambiente" e si occupa proprio di questo, della sensibilizzazione sia della categoria professionale sia dei pazienti. Ma arrivare a incidere sull'opinione pubblica e da questa alle concrete scelte politiche, continua a risultare difficile.

Non esiste un meccanismo legislativo che imponga ai governi di adottare precise misure protettive della popolazione, in base alla pubblicazione dei dati da parte dell'OMS?
No, per statuto l'OMS ha esclusivamente funzioni consultive. I nostri interlocutori sono i Ministeri della Sanità. L'adozione delle nostre linee guida è nelle mani dei singoli governi.




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